mercoledì 12 marzo 2008

...ecco a chi piaceva il cinema...






...una bellissima serata...




...la sera anche Marylin era con noi...guardare bene lo sfondo...

Era il 10 maggio 2007

...Bruna, detta Brunella, la nostra sherpa...

...prima di arrivare alla nostra aula...


...questa era l'indicazione giusta...

C'eravamo dati dei temi...

...il gruppo si era ritrovato...


...tutti (o quasi) puntuali...sportivi...

...l'attenzione e l'impegno, altissimi...





...quanti ricordi...

...e poi ci siamo lasciati...soltanto fino alla prossima volta...

Chi siamo

Dai diari di Maria Chiara e Chiara


VIAGGIO AD AUSCHWITZ
“Dai nostri diari…”
Chiara Cardelli e Maria Chiara Stiavelli

28/01/2007
“Sono emozionata diario, so che da quando metterò piede i quei luoghi qualcosa cambierà in me, io certe cose le sento...sono in molti a parlare di questa esperienza, ma io non voglio ascoltarli, voglio seguire un percorso mio, voglio provare emozioni e sensazioni solo mie e non di altri, voglio sentire sulla pelle quello che tante volte ho studiato sui libri di scuola.”
Maria Chiara

“Voi che vivete sicurinelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a serail cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo paneche muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna,senza capelli e senza nome senza più forza di ricordarevuoti gli occhi e freddo il gremboc ome una rana d'inverno.Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.”
Primo Levi

29/01/2007
“(…) il pullman ha scaldato il motore ed è partito per Auschwitz II – Birkenau, il più grande campo di sterminio che la storia purtroppo ricordi. Ha iniziato subito a nevicare e si è creata un’atmosfera “perfetta” per immergerci nella realtà dei campi, il cielo era cupo ed il freddo molto pungente. Ciò di cui fin dall’inizio non sono riuscita a capacitarmi è come potessero vivere anche solo un giorno in quelle condizioni, con un freddo del genere. Noi eravamo tutti imbacuccati e dalle nostre bocche non so quante volte sia uscita l’esclamazione “che freddo!”. Come diavolo facevano i prigionieri del campo a resistere a temperature simili con indosso solo una camicia a righe ed un paio di zoccoli, se erano particolarmente fortunati??? L’imponenza del campo è veramente impressionante. Dalla torre di guardia abbiamo potuto osservare distese e distese di neve che ricoprono i luoghi di quell’inutile sterminio. Abbiamo visitato il monumento in memoria delle vittime e poi ci siamo addentrati in quelle che erano le strutture cardine del campo. Le docce, il Kanada, la Sauna…non ho capito dove mi trovassi realmente, finché non ho visto una parete completamente tappezzata di foto di deportati. I loro volti così sereni ed ingenui mi hanno fatto un’impressione enorme, un misto tra compassione e disprezzo per quegli insensati dei tedeschi. Ho avuto la possibilità di vedere anche le baracche, con cuccette piccolissime che avrebbero dovuto fungere da letto per 8-9 persone ciascuna e le latrine. È davvero incomprensibile come la mente umana sia potuta arrivare a tanto…!”
Chiara

“Credo che quello che ho provato una volta messo piede nel campo sia indescrivibile. Mi sono sentita pervadere da un insanabile senso di vuoto, ho creduto per un attimo che mi fosse venuta a mancare l’aria, cercavo di respirare e non ci riuscivo. Freddo, freddo ovunque, freddo sul terreno, freddo sulle costruzioni, freddo sui miei amici, freddo su di me, freddo dentro di me. Avevo gli occhi velati di lacrime, non riuscivano, o non volevano, a vedere il prodotto della crudeltà umana.”
Maria Chiara

“Come questa nostra fame non è la sensazione di chi ha saltato un pasto, così il nostro modo di aver freddo esigerebbe un nome particolare. Noi diciamo «fame», diciamo «stanchezza», «paura», e «dolore», diciamo «inverno», e sono altre cose. Sono parole libere, create e usate da uomini liberi che vivevano, godendo e soffrendo, nelle loro case. Se i Lager fossero durati più a lungo, un nuovo aspro linguaggio sarebbe nato; e di questo si sente il bisogno per spiegare cosa è faticare l’intera giornata nel vento, sotto zero, con solo indosso camicia, mutande, giacca e brache di tela, e in corpo debolezza e fame e consapevolezza della fine che viene. In quel modo con cui si vede finire una speranza, così stamattina è stato inverno.”
("Se questo è un uomo", Primo Levi)


29/01/2007
“[…] chiudere le palpebre anche per un solo secondo e immaginare di tornare un po’ indietro…tante persone in fila, vestite tutte allo stesso modo, camminano per inerzia, hanno freddo, è freddo. Hanno fame, è la fame. I visi spenti e scarni, i corpi scheletrici, la speranza che muore ad ogni passo avanti…un passo, due passi, mille passi, non finiscono più nell’immensità del territorio. La voce della guida mi riporta alla realtà, la ringrazio, ricordare fa male.”
Maria Chiara

“Poiché tale è la natura umana, che le pene e i dolori simultaneamente sofferti non si sommano per intero nella nostra sensibilità, ma si nascondono, i minori dietro i maggiori, secondo una legge prospettica definita. Questo è provvidenziale, e ci permette di vivere in campo. […] Perciò, non appena il freddo, che per tutto l’inverno ci era parso l’unico nemico, è cessato, noi ci siamo accorti di avere fame: e, ripetendo lo stesso errore, così oggi diciamo: «Se non fosse della fame!…» Ma come si potrebbe pensare di non aver fame? Il lager è la fame: noi stessi siamo la fame, fame vivente.”
("Se questo è un uomo" - Primo Levi)


30/01/2007
“(…) oggi ci attendeva il campo di Auschwitz I, nato come campo di concentramento e non di sterminio. Ciò che ci siamo trovati davanti è il celeberrimo cancello con la scritta “arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi”. Tutto un altro effetto rispetto alle foto sui libri di scuola. Una frase come un’altra per chi è all’oscuro di ciò che è successo, uno strazio per chi sa.”
Chiara

“Ma in Lager avviene altrimenti: qui la lotta per sopravvivere è senza remissione, perché ognuno è disperatamente ferocemente solo. Se un qualunque Null Achtzehn vacilla, non troverà chi gli porga una mano; bensì qualcuno che lo abbatterà a lato, perché nessuno ha interesse a che un «mussulmano» di più si trascini ogni giorno al lavoro; e se qualcuno, con un miracolo di selvaggia pazienza e astuzia, troverà una nuova combinazione per defilarsi dal lavoro più duro, una nuova arte che gli frutti qualche grammo di pane, cercherà di tenerne segreto il modo, e di questo sarà stimato e rispettato, e ne trarrà un suo esclusivo personale giovamento; diventerà più forte, e perciò sarà temuto, e chi è temuto è, ispo facto, un candidato a sopravvivere.”
("Se questo è un uomo" Primo Levi)


30/01/2007
“La visita ad Auschwitz I è terminata verso l’ora di pranzo, ancora una volta uno spuntino veloce e via verso il Palasport ad ascoltare le testimonianze di alcuni sopravvissuti: le sorelle Bucci e Marcello Martini. Credo che le parole di queste persone siano state essenziali per arricchire questa già grande esperienza. In fondo non credo che le storie dei tre personaggi siano più o meno importanti delle altre storie sui lager Nazisti, però sono persone che hanno avuto la forza di reagire, che hanno lottato e lottano tuttora contro la crudeltà umana. Sono persone da ammirare e capire, da cui prendere esempio anche nelle piccole cose della vita.”
Maria Chiara

“Per oggi era stato organizzato anche l’incontro con i testimoni sopravvissuti ai campi. Erano presenti le sorelle Andra e Tatiana Bucci, deportate ad Auschwitz rispettivamente all’età di 4 e 6 anni e Marcello Martini, il signore da noi intervistato sul treno. È veramente ammirabile che siano così disposti a tornare in luoghi tanto dolorosi per loro soltanto per tramandare la loro esperienza a noi giovani. È stato un momento molto toccante e devo confessare che ho persino versato una lacrimuccia durante il racconto di una delle sorelle. Pensare che sono sfuggite alla camera a gas soltanto per aver rifiutato di “andare a trovare la mamma” fa capire perfettamente quanto fosse affidata al caso la sopravvivenza nel campo e quanto da un attimo dipendesse una vita.”
Chiara

“Ero tranquillo perché ero riuscito a mentirmi quanto era bastato. Il fatto che io non sia stato scelto è dipeso soprattutto dal caso e non dimostra che la mia fiducia fosse ben fondata. […] I giovani dicono ai giovani che saranno scelti tutti i vecchi. I sani dicono ai sani che saranno scelti solo i malati. Saranno esclusi gli specialisti. Saranno esclusi gli ebrei tedeschi. Saranno esclusi i Piccoli Numeri. Sarai scelto tu. Sarò escluso io. […] Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell’aria di ottobre, deve fare di corsa i pochi passi fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla SS e rientrare per la porta del dormitorio. La SS, nella frazione di secondo fra due passaggi successivi, con uno sguardo di faccia e di schiena giudica della sorte di ognuno, e consegna a sua volta la scheda all’uomo alla sua destra o all’uomo alla sua sinistra, e questo è la vita o la morte di ciascuno di noi. […] Non c’è da stupirsi di queste sviste: l’esame è molto rapido e sommario, e d’altronde, per l’amministrazione del Lager, l’importante non è tanto che vengono eliminati proprio i più inutili, quanto che si rendano speditamente liberi posti in una certa percentuale prestabilita.”
("Se questo è un uomo" - Primo Levi)


31/01/2007
“(…) anche questa esperienza purtroppo si è conclusa e tra la nostalgia dei bei momenti passati insieme, porterò dentro di me ricordi sicuramente indimenticabili. Sarà impossibile scordarsi di quanto ho visto, sono immagini incancellabili, come incancellabile è e deve essere l’orribile abominio dei nazisti che, tra gli altri, ha ucciso e massacrato sei milioni di ebrei.”
Chiara

“Non so da quanto tempo stia viaggiando…so solamente che questa esperienza ha significato molto per me; ho imparato che l’uomo talvolta può essere crudele, talvolta ha una grande voglia di vivere. Ho imparato che il solo studio non basta per credere di saper già tutto, certe esperienze vanno vissute. Ho imparato che ricordare fa male, ma è la miglior medicina per non errare più. Ho imparato che anche io posso provare certe sensazioni descritte solo dai poeti, così lontani da noi…”
Maria Chiara

“Noi giacevamo in un mondo di morti e di larve. L’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a noi e dentro di noi. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento dai tedeschi disfatti. È uomo chi uccide, è uomo chi fa o subisce ingiustizia; non è uomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con un cadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse di morire per togliergli un quarto di pane, è, pur senza sua colpa, più lontano dal modello dell’uomo pensante, che il più rozzo pigmeo e il sadico più atroce. Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo. […] Sopra noi, nudi impotenti inermi, uomini del nostro tempo cercavano la reciproca morte coi più raffinati strumenti. Un loro gesto del dito poteva provocare la distruzione del campo intero, annientare migliaia di uomini; mentre la somma di tutte le nostre energie e volontà non sarebbe bastata a prolungare di un minuto la vita di uno solo di noi.”
("Se questo è un uomo" - Primo Levi)




Maria Chiara & Chiara
Studentesse del 4° anno Liceo Scientifico Sperimentale “C. Lorenzini” – Pescia (PT)

I nostri vent'anni


I nostri vent’anni, per noi figli del dopoguerra e del primo consumismo, sono stati veramente belli, indimenticabili.Anni trascorsi là nella piccola ma graziosa sede del G.U.P. (Gruppo Universitario Pesciatino). Nel pomeriggio percorrevamo via della Cattedrale e dopo alcuni metri, sulla sinistra, ci infilavamo dentro un piccolo portone. Scendevamo alcuni scalini e ci inoltravamo in un accogliente bar con un barman eccezionale che ci serviva un eccitante caffè, del quale, se ci penso, ancora sento il profumo intenso nelle narici; per i più azzardati c’erano ottimi Martini.Nell’aria un odore acre di tabacco di pipa o di sigarette: era di gran moda fumare con le gambe accavallate su quelle sedie rosso fuoco. La tappezzeria del bar era rossa, simile al cuore incendiato d’amore. Quanti magici amori sono nati là, in quella stanza accogliente posta oltre il bar!. Un giradischi era sempre in funzione, potevamo scegliere i dischi preferiti; era bello ballare strette al ragazzo del cuore mentre nell’aria profumata di tabacco vagavano le note delle canzoni: “Il mondo”, “Que sera, sera”, “Il cielo in una stanza”, “Un granello di sabbia”. Le note vibravano nell’aria facendo battere i nostri cuori all’impazzata; dimenticavamo tutto e tutti, ci sentivamo felici, appagati.Poggiare la testa sulla spalla di lui o farsi accarezzare i capelli o sfiorare le sue mani, o ricevere il primo bacio ci facevano innalzare al settimo cielo. Non indossavamo scarpe da ginnastica, jeans o magliette che mostrano l’ombelico, ma gonne strette al ginocchio, camicette di seta ricamate, abitini interi, i famosi Chanel, e scarpe dalla punta arrotondata o mocassini. Alcune di noi, le più sbarazzine, indossavano le prime minigonne. I maglioncini erano tutti di pura lana lavorati ai ferri dalle nostre nonne o mamme o anche sferruzzati da noi. Infatti alcune di noi sapevano lavorare a maglia benissimo.Non studiavamo al GUP, ma spesso ci confrontavamo o ci scambiavamo appunti.La domenica, tempo permettendo, tutti al mare, in quel di Viareggio con le prime 500 o con le Lambrette –senza casco- su per il Monte Quieto.

Sira Michelotti

Il "Carnevalino” (ma anche “le ribotte”)


All’inizio del 1900, al Teatro Pacini c’erano i palchi di proprietà delle varie famiglie. Mio nonno ne aveva uno che serviva per i vari spettacoli e nel tempo di carnevale veniva usato, durante i veglioni, per farci le “ribotte”. Queste erano riunioni, soprattutto di uomini, che mangiavano e bevevano per tutta la notte.Una volta mio nonno tornò dopo una “ribotta” del martedì grasso in cui aveva mangiato e bevuto fino alle due, tre del mattino e se ne andò a dormire.Il mercoledì successivo al martedì grasso, a Pescia si usa fare “carnevalino”, una giornata di festa in cui le famiglie se ne vanno a mangiare fuori nelle trattorie di campagna oppure a fare dei pic-nic. Anche oggi il mercoledì delle ceneri da noi è festa ed è stata riconosciuta tale perché dopo i bagordi del martedì grasso i lavoratori che rientravano al lavoro il mercoledì avevano spesso incidenti sul lavoro e quindi era meglio un giorno in più di riposo.Quella particolare mattina mio nonno andò a letto dopo la “ribotta” e si addormentò.Quando si svegliò chiamò mia nonna: “Elisa, è tutto pronto per andare al carnevalino?”Al che mia nonna rispose: “Ma lo sai che giorno è? E’ venerdì alle quattro del pomeriggio”.Mio nonno senza fare una grinza disse: “ Va bene, allora mi alzo domani”. Si girò dall’altra parte e dormì fino al sabato mattina.E’ vero che reggeva bene il vino, ma quella volta doveva averne bevuto una damigiana!

Elisa Bartoli

Nei dintorni dei miei quindici anni

Dopo l’avviamento al lavoro, scuola parallela alle medie, sono andato come molti di noi ragazzi dell’epoca ad imparare un mestiere: l’elettricista.Si lavorava dalle ore 8,30 del mattino alle ore 20, 30 e oltre della sera.Io lavorando a Pescia ed abitando a 7 Km verso la montagna, Km percorsi in bicicletta andata e ritorno, il tempo libero era veramente poco, anche se non ricordo di essermi lamentato.La domenica, perché si lavorava anche il sabato, con l’autobus tornando a Pescia, c’erano i famosi “nastri”, il passatempo più frequentato; vero è che, qualche tempo dopo, ci ho trovato moglie...C’erano anche due cinematografi (tipo “Ultimo cinema Paradiso”); in uno di essi, al Garibaldi, si poteva andare a spettacoli all’aperto in notturna; c’era inoltre un teatro, il Pacini. Io, con il mio titolare, prestavo servizio come elettricista nei vari spettacoli, quali opere, operette, varietà.



Ricordo anche compagnie come Marotta e Treni, opere come Rigoletto, Traviata, Tosca e altre. A teatro venivano anche effettuate feste da ballo in serate particolari e la domenica pomeriggio, togliendo le sedie dalla platea che diventava pista da ballo.Nella frazione in cui abitavo e abito tuttora, in particolare nel periodo primavera estate con i molti ragazzi e ragazze del posto dopo cena c’era una buona amalgama per quanto c’era permesso di fare all’epoca.P.S. A scuola in bici, i pulmini non esistevano. Il motorino a diciassette anni: e sono stato abbastanza fortunato.

Rolando Panteri

Al cinema con l’autobusse

Negli anni 50-60 tanti divertimenti come ci sono oggi non c’erano. Io abitavo e abito in un paese a tre Km da Pescia e mentre in città c’erano più svaghi a Pietrabuona c’era soltanto il bar di Mauro ed era il ritrovo tanto della montagna quanto dei pesciatini. Quando ci si trovava con qualche soldino in tasca si andava al cinema a Pescia. Per i ragazzi era adatto il “Pidocchino” perché si spendeva poco e davano i film dei cow-boy. Per me era il cinema preferito, perché nell’intervallo fra il primo e il secondo tempo uscivo e andavo dallo zio Gaeta dove ci trovavo un bel panino imbottito. Dopo il “Pidocchino”, dove non si spendeva tanto, c’era il cinema “Garibaldi” e poi il cinema “Splendor” che per dire il vero era anche il più bello. La mamma all’epoca mandava la lambretta e quando non era troppo freddo andavamo al cinema a Pescia con quella.Lo spettatore più assiduo di casa mia era il nonno Alberto; lui tutte le domeniche d’inverno andava al cinema: al primo spettacolo dormiva e il secondo lo guardava così faceva l’ora per prendere il pullman che lo riportava a casa.Infatti, per andare a Pescia prendevamo l’ “autobusse” così veniva chiamato.L’autobusse faceva il giro di tutti i paesini della montagna e quando arrivava a Pietrabuona era talmente pieno che non importava reggersi.A fare il biglietto c’era la Mena, moglie di Angiolino (lui era l’autista) e così c’era il detto: “Arriva l’autobusse della Mena che anche oggi è piena”. Certo quando si arrivava a Pescia in Piazza XX Settembre si faceva spettacolo, tutte quelle persone che scendevano dall’autobusse e i signori pesciatini dicevano: “Arrivano i montanini”, detto anche con un certo disprezzo. A dire il vero anche se siamo nel 2000 in effetti dal Del Magro in su siamo considerati cittadini di serie B, ma questo è un altro discorso.Un fatto che mi torna alla mente ed è quello di quando al cinema Splendor venne proiettato il film “I dieci Comandamenti”. Quella domenica fu deciso di andare tutti al cinema, cioè tutti e nove (sì, perché la mia famiglia era composta proprio da nove persone fra nonni, zie e cugini). Bene: per prima cosa furono preparati i panini imbottiti perché la partenza era stata stabilita per mezzogiorno e mezzo per essere sicuri di trovare il posto al cinema e non potevamo prendere l’”autobusse” perché saremmo arrivati troppo tardi. Così ci fu un altro inghippo, con che mezzo si andava? Per fortuna vicino a noi abitava Zelio che possedeva un pulmino a sei posti e, alla meglio, entrammo tutti lì. Comunque fu una giornata indimenticabile e quel film è rimasto sempre nei miei ricordi.

Brunetta Pellegrini

18 km. per la Butterfly





L’opera lirica è stata per me una grande passione. Ha cominciato ad interessarmi da piccolissimo, quando mio padre ha vinto un terno al lotto di 500 lire. Con questi soldi, dopo la baldoria, comprò un grammofono e una serie di dischi con canzonette d’epoca e dischi di varie opere liriche. Tra le più sentite delle canzonette c’erano: “Il fiaccheraio” e “La porti un bacione a Firenze”; tra le opere La Bohème, Il barbiere di Siviglia, Butterfly, La Lucia di Lammermoor, La Tosca.Nel dire tutto questo, con la novità del grammofono, ha causato in me un grande interesse e piacere. La sera, dopo cena, mi mandavano a letto (ero solo il primo figlio) ed io non mi addormentavo perché i miei cominciavano a sentire un’opera sempre con qualche amico curioso ed io dalla mia camera sentivo tutto.Crescendo questa passione è continuata e quando al posto del grammofono è venuta la radio… e a quei tempi le opere liriche venivano spesso trasmesse, almeno quelle, io ne ero un fedele ascoltatore!Grandicello, il sabato sera quando trasmettevano quasi sempre un’opera l’ascoltavo fino in fondo lottando con il sonno.Che bellezza, avevo imparato a canticchiare diverse opere di cui ora purtroppo me ne sto dimenticando.La “Lucia” era quell’opera che mi piaceva di più, mi pare che cominciasse così (percorriamo le spiagge vicine) e il quartetto, “nelle stanze ove Lucia un lamento un grido uscìa”.Del Teatro Pacini di Pescia non ho tante ricordanze. Mi ricordo solo che andavo in piccionaia, al quinto giorno, dove andavano i pesciatini che avevano pochi soldi ma tanta conoscenza della musica e delle opere.Sono stato a Montecatini a vedere la Madama Butterfly magistralmente eseguita da tutto lo staff, ma in particolare dalla soprano (non mi ricordo il nome) che non era delle più rinomate di quei tempi (1930-356). Ricordo che per vedere l’opera ho fatto a piedi da Pescia a Montecatini (9 Km andata e 9 Km ritorno). Un’altra volta che ho rivisto la Butterfly è stato nel 1942, ero soldato a Bologna, 6° Genio, ho sentito dire che con il Carro di Tespi presso l’aerodromo veniva rappresentata la Butterfly; ho chiesto subito di poter andare e sono stato accontentato. Con soddisfazione mi sono goduto anche questo debutto magnificamente rappresentato. E ora l’età con l’età avanzata e con qualche malattia di troppo avrei il piacere, come altri anziani, che la RAI (servizio pubblico) trasmettesse qualche opera nelle ore normali, non a mezzanotte, scordandosi dell’audience per ricordarsi di noi anziani, dandoci un poco di felicità e trasmettendo opere già trasmesse, rispolverando i depositi.

Ivo Papini

giovedì 6 marzo 2008






Ci siamo ritrovati...
Abbiamo rivissuto momenti e ricordi della nostra vita



Rosa Etheridge

1952 - La s.lla Giuseppina Scoti, ispettrice infermiere volontarie, della Croce Rossa Italiana consegna la medaglia di diploma a s.lla Rosa Etheridge di nuova nomina.

Eppure ci perdemmo



Tu parlavi……..
Io ascoltavo……..
Io parlavo………
Tu ascoltavi………
E venne sera.
Tu amavi il profumo
Del vento di primavera,
io l’acre odoredella vellutata,
morbida mimosa.
Io amavo l’ordinato volo dei gabbiani,
tu il loro tempestoso mare
Io parlavo………
Tu ascoltavi…………….
Tu parlavi……….
Io ascoltavo………….
Percorrevamo la stessa strada.
Eppure ci perdemmo.

Sira Michelotti